CUBA. GLI ANNI PASSANO, LA RIVOLUZIONE RESTA
di Giusi Greta Di Cristina
(Circolo di Parma - Ass. Italia-Cuba)

Cuba, dicembre del 1958.
L’isola è percorsa dal fuoco rivoluzionario che, né Batista né gli Usa suoi 
alleati, sono riusciti a spegnere. Al contrario: esso è ormai penetrato in ogni 
angolo di quella terra, agitando il popolo, informando di sé ogni spirito ormai 
convinto che il tiranno, anche a Cuba come in URSS, potesse essere sconfitto.
Il Movimento 26 Luglio, guidato da Ernesto Guevara e da Camilo Cienfuegos, dopo 
un inutile tentativo da parte delle forze governative di distruggere alcune 
posizioni guerrigliere di istanza a Escambray, decide di iniziare l’attacco 
definitivo a Batista. E lo fa  attaccando Santa Clara, cuore dell’isola e 
ultimo baluardo da conquistare per arrivare alla capitale.
Era il 28 dicembre del 1958.
Batista, seguendo la tradizione dei codardi, decise di scappare e lasciò il 
Paese in mano al generale Cantillo.
Qualche giorno dopo, attraverso la messa in campo di una lucidissima strategia 
politica (formare il popolo alla Rivoluzione, avanzare militarmente), Fidel 
Castro entra trionfalmente a Santiago de Cuba, dichiarandola capitale 
provvisoria del Paese.
Era l’1 gennaio 1959. Il sogno della Rivoluzione era divenuto realtà.
Da quel momento Cuba rappresenta l’ “altro mondo” possibile. E davvero Cuba lo 
è, questo mondo possibile, se si pensa ai prodigi compiuti da questo Paese 
nonostante un blocco economico (per favore, non chiamatelo embargo!). Blocco 
che continua ancora oggi, che anzi è divenuto ancor più duro.
Eppure Cuba resiste.
Vi siete mai fermati a pensare come sia possibile che un’isola così piccola 
riesca a sopravvivere, riesca ad autodeterminarsi, riesca a sconfiggere lo 
Stato che, oggi come ieri, è responsabile per via diretta e indiretta dei più 
feroci e sanguinosi crimini, gli Stati Uniti.
Negli anni l’imperialismo statunitense ha tentato di distruggere Cuba e la sua 
Rivoluzione, attraverso i tentativi di uccidere il Comandante en Jefe, Fidel 
Castro Ruz, guida del Paese fino alla sua morte, guida di ogni socialista per 
l’eternità. Ha tentato di soffocare il popolo cubano con il blocco economico, 
falsamente chiamato embargo, iniziato da Eisenhower con le restrizioni 
economiche nel 1960 e poi allargato dal Proclama 3447 a firma di J.F Kennedy.
Cuba, terrore del liberismo, avamposto del comunismo proprio dinnanzi agli 
anticomunisti, segno reale e concreto di un socialismo vivo e vegeto, voluto e 
amato, difeso a qualsiasi costo.
Perché questo è Cuba, e non il sogno romantico che certa sinistra poco incline 
allo studio vorrebbe far passare. Non è la faccia del Che Guevara sulle 
magliette, né l’esotismo del caldo a tutte le stagioni: Cuba è teoria che si fa 
prassi, è gioventù educata alla rivoluzione, è esercito fedele agli ideali 
rivoluzionari.
Cuba è soprattutto il popolo cubano che sceglie, ogni giorno, il socialismo.
E lo ha fatto nei mesi passati, attraverso il lavoro sul progetto della nuova 
Costituzione, che prenderà il posto di quella vigente, del 1976.

LA NUOVA COSTITUZIONE DI CUBA
La bozza del progetto della Carta Costituzionale è stata proposta alla Consulta 
popolare per essere rivista e per dare la possibilità al popolo di proporre 
eventuali cambiamenti.
In quella che viene definita una dittatura persino dai maître à penser nel 
nostro Paese, quasi nove milioni di cittadini – emigrati inclusi – hanno potuto 
dire la loro sulla bozza costituzionale, che una volta rientrata è stata 
aggiornata con le proposte avanzate dalla Consulta popolare. Ad occuparsi della 
redazione della stessa e dell’incorporazione delle modifiche proposte dalla 
Consulta popolare, una commissione guidata dall’ex presidente e Primo 
Segretario del Partito Comunista Cubano, Raúl Castro.
La bozza, votata all’unanimità dai deputati dell’Assemblea Nazionale del Potere 
Popolare il 22 dicembre appena trascorso, è stata fatta oggetto dell’interesse 
della stampa internazionale che plaudiva alla proposta iniziale di togliere 
l’aggettivo “comunista” come indirizzo del governo cubano. In sostanza, destra 
e sinistra imperialista (come non pensare ai nostrani Il Manifesto, Left, 
Internazionale?) hanno sprecato fiumi di inchiostro per festeggiare la fine del 
comunismo a Cuba, il ripiego verso il capitalismo, l’abbandono della 
Rivoluzione. Una sorta di requiem, esasperato dal ritornello “Miguel Díaz-Canel 
non è Fidel Castro”.
Avremmo tanto voluto vedere le facce di questi soloni del nulla, di questi 
cantori del liberismo, di questi cani da guardia degli USA, nel leggere che 
nella stesura definitiva, quella che è stata appena approvata all’unanimità, è 
stata ripristinata la formula prima tolta, ovvero “gli alti obiettivi della 
costruzione del socialismo e l’avanzo verso la società comunista” (art.5). E dà 
soddisfazione sottolineare che il ripristino di questo elemento formale e 
sostanziale fa parte delle proposte della Consulta Popolare.
Per quanto concerne gli altri cambiamenti inseriti nella nuova Costituzione – 
che verrà sottoposta a referendum il 24 febbraio dell’anno che è appena 
iniziato – due sono gli aspetti particolarmente interessanti: il primo riguarda 
l’assetto governativo, l’altro la tanto chiacchierata apertura ad una economia 
capitalista, altro aspetto sul quale la stampa borghese e liberista tante 
falsità ha scritto.
Per quel che concerne il primo punto, il Partito Comunista Cubano, di matrice 
marxista-leninista, rimane la guida del Paese. Viene però inaugurata 
l’istituzione della figura del Presidente della Repubblica e quella del Primo 
Ministro. Vengono ampliati i diritti e le garanzie dei cittadini, compreso il 
rispetto delle varie confessioni religiose.
La Commissione Costituzionale ha eliminato il controverso articolo che avrebbe 
consentito il matrimonio omosessuale a Cuba. Ha però promesso di aprire un 
tavolo di discussione sul tema che durerà due anni, quando verrà redatto il 
nuovo Codice di Famiglia (anch’esso verrà sottoposto a referendum).
Vediamo ora di fare chiarezza sul secondo punto. E per farlo è necessario un 
passo indietro. Chi afferma che a Cuba, d’emblée, si sia deciso di aprire le 
porte al capitalismo pecca d’ignoranza o di malafede. Cuba sperimenta un 
sistema di economia mista da almeno dieci anni, anni segnati dalle riforme 
economiche volute dal generale Castro (2008-2018). Chi conosce Cuba sa bene 
quanto, negli ultimi tempi, il Paese abbia proposto centinaia di possibilità di 
investimento a regime di economia mista (uno fra tutti, cito l’esempio della 
Zona Mariel). Leggiamo dunque le righe del progetto costituzionale, laddove si 
parla di riconoscimento della proprietà privata e della necessità degli 
investimenti stranieri
per lo sviluppo economico del Paese, come nient’altro che la strutturazione, 
nero su bianco, di un orientamento economico – ma anche politico – già deciso e 
messo in campo.
Vorrei anche sommessamente aggiungere che il voler a tutti i costi legare il 
cammino cubano a quello cinese rappresenta una forzatura: nell’enorme bisogno 
che abbiamo noi occidentali di trasporre ogni evento geograficamente lontano 
sotto una chiara comprensione, rischiamo di dimenticare troppo spesso 
l’originalità nazionale di ogni esperienza. Cuba non è la Cina, per varie 
ragioni, non ultime quelle di natura geofisica.
Cuba è Cuba, con le sue peculiarità, le scelte economiche che opera sono 
finemente cucite sui bisogni e le necessità del popolo cubano. E del suo 
benessere, ça va sans dire.
Inoltre, i deputati hanno approvato un articolo che dispone che “i mezzi di 
comunicazione fondamentale non possono essere oggetto di nessun altro tipo di 
proprietà che non sia quella socialista di tutto il popolo”. È superfluo 
aggiungere quanto questo sia necessario per evitare deviazioni che altrove 
hanno segnato la fine delle esperienze socialiste e che si sono servite dei 
mezzi di comunicazione antirivoluzionari e borghesi per incistarsi nella vita 
quotidiana e nella coscienza dei popoli.

La nuova Costituzione che, ripetiamo passerà ora al vaglio referendario il 24 
febbraio dell’anno appena iniziato, si è confermata nella struttura quella 
proposta dalla bozza: 229 articoli, 11 titoli, due disposizioni speciali, 13 
transitorie e due finali.

CUBA, RIVOLUZIONE PERENNE
Sessant’anni son passati da quella splendida mattina in cui gli eroi della 
Rivoluzione segnano la fine della dittatura di Batista.
Uno di quegli anniversari che non è solo commemorazione, ma che stringe in sé 
un profondo significato di rivalsa e vittoria dei popoli che combattono contro 
l’imperialismo.
Chi vi dice, chi ci dice che ormai tutto è passato, che il comunismo ha perso, 
lo dice incurante della situazione in cui si trova a dover sopravvivere la 
maggioranza delle donne, degli uomini, dei bambini e degli anziani di questo 
Pianeta: il sistema capitalistico si è imposto trascinando nella miseria, 
nell’indigenza, nella guerra persino Nazioni che hanno conosciuto il benessere 
per qualche decennio. L’aggressività degli USA e degli Stati vassalli è 
accresciuta enormemente dopo il tradimento e il crollo dell’URSS, i Paesi 
dell’ex blocco sovietico – secondo recentissimi sondaggi – vorrebbero il 
ritorno allo stato socialista, dopo l’inganno del capitalismo e la beffa 
dell’occupazione Nato.
A Cuba tutto questo non è accaduto, non accade, non accadrà. Lo diciamo con 
sicurezza, col sorriso. E lo sa anche chi, da questa parte del mondo, sperava 
il contrario con la dipartita del Comandante Eterno.
Cuba vanta tra i migliori sistemi sanitari al mondo, e il migliore dell’America 
Latina. Cuba ha sconfitto la fame: nessun bambino muore di fame a Cuba. Cuba ha 
tra i migliori sistemi educativi al mondo, e il migliore dell’America Latina, 
surclassando quelli nati dalle dittature dei militari preparati dai nazisti 
scappati dalla Germania e assoldati dai democraticissimi USA. Al contrario, in 
questi Paesi la gente rovista tra i rifiuti per mangiare.
A Cuba si è sopravvissuti al periodo especial, si sopravvive ancora a una 
restrizione economica, a una angheria finanziaria sotto la quale probabilmente 
qualsiasi altro Paese sarebbe crollato.
Cuba sarebbe un miracolo, se noi credessimo ai miracoli. Cuba è il prodotto 
della ferrea disciplina marxista-leninista e dell’educazione alla rivoluzione.
Cuba, seguendo gli esempi antecedenti, su tutti quello di José Martí, ha 
plasmato la sua lotta di liberazione in chiave nazionale, applicando le lezioni 
di Lenin, di Stalin, di Mao sulla necessità di creare la Rivoluzione nel 
proprio Paese sposando le caratteristiche più idonee che possano renderla 
vincente, nel proprio Paese.
E in questi tempi oscuri, di antifascismo un tanto al chilo, letto in chiave 
esclusivamente ruffiana, in cui chiunque parli di difesa della sovranità 
popolare viene accusato di rossobrunismo – quando non direttamente di fascismo! 
- da Cuba ci arriva forte il monito: “Patria o Muerte!”.
Se il futuro che scegliamo per la Patria (perché Paese o Nazione e non Patria? 
Cosa avrà mai fatto di male questo termine per suscitare una tale repulsione 
tra gli ambienti cosiddetti di sinistra?) è quello socialista, se lottiamo per 
questo obiettivo, se lo sosteniamo col nostro impegno militante, la nostra 
dedizione agli insegnamenti marxisti-leninisti, come non possiamo ritrovare 
nella Rivoluzione cubana, nella sua difesa alla patria socialista l’indirizzo 
al quale volgerci, anche oggi, nel 2019?
È chiaro: proprio in virtù di quanto appena affermato non possiamo trasporre 
pari pari quella che fu, anzi quella che è, la Rivoluzione Cubana entro i 
nostri confini (altra parola che pare abbia assurto connotati da demonizzare): 
possiamo però studiare, analizzare, approfondire quella che, tra le pochissime, 
non è solo il sogno di ciò che poteva essere ma la realtà di ciò che è.

Lunga vita alla Rivoluzione Cubana. Lunga vita a Cuba!


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