DIR="LTR">


il tempo della metropoli è scaduto


I


La modernità appartiene al passato, così come le categorie di cui la modernità viveva. La fantascienza stessa, sorta nel secolo che vede coagularsi e definirsi le tendenze che costituiranno il corpo tecnico, l’armamentario ideologico e le psicopatologie del moderno, è possibile solo come esercizio di stile, come panoplia di artifici di genere, se si ostina a voler essere in qualche modo prefigurante: la prefigurazione è affatto impossibile. La prefigurazione ha come presupposto la sussistenza di un effetto-realtà socialmente condiviso. Altrimenti, additare scenari futuri è come parlare una lingua morta, e la xenoglossia è un fenomeno psichico (o parapsicologico, per alcuni) piuttosto raro, non certo un dato sociale rilevante.


La fantascienza non evoca più, se mai lo ha fatto, possibilità future. La fantascienza asserisce, dichiara, pone in atto. La fantascienza dà luogo a una sorta di Creazione Impotente, arma velleitaria puntata contro la tirannia della virtualità e contro la riduzione della complessità a calcolo, a codice binario, a schema, algoritmo, griglia operativa. Reagisce all’identificazione tra mente e pensiero e alla riduzione del pensiero a matematica, a Intelligenza Artificiale. La fantascienza contemporanea ha come oggetto solo l’orrore del quotidiano.




II



La fantascienza conosce d’altro canto un modo peculiare di affrontare la questione della verità e della verosimiglianza. Verità come caso particolare dell’illusione, verosimiglianza come strumento, vanga per dissodare nuovi terreni, silicone per sigillare contenitori ermetici, bare e urne.


Astronavi immense, in grado di esaurire parecchie volte le riserve di metallo di un pianeta di tipo terrestre, e perciò impossibili; città che coincidono con pianeti, con tutta la superficie & con il sottosuolo di questi: molta fantascienza, si è rimarcato più volte e da più parti, non regge a un’analisi davvero scientifica.

Non è importante. La fantascienza ammonisce. Nell’ansia fittizia di estendere i confini dell’umano e del possibile, li individua chiaramente. E dichiara che il futuro post-umano è qui, nella vita delle città.




III



Metropoli futura. Città sterminata, immensa conurbazione che copre tutta la superficie abitabile, che si addentra nel ventre della Terra, livello dopo livello. Incubo che vive nell’illusione del tempo reale: nulla accade contemporaneamente, in realtà, ma l’illusione rende possibile pensare la Metropoli Finale, la Conurbazione Planetaria, il luogo che, per certo, non si produrrà mai. E’ il pensiero mandato a sondare il limite che si scopre in grado di prefigurarla, che la vede possibile, incombente, che si interroga sempre meno ingenuamente sulla natura dell’umano rappresentandone la negazione e risolvendo catastroficamente il nesso natura-cultura. In realtà, nulla può essere aggiunto al mondo. E il mondo non sarà mai una città.




IV


Invece, il modello di civilizzazione che vede nella città il centro della vita culturale, sociale, economica è destinato a tramontare. La futura civilizzazione sarà nutrita da flussi energetici ben meno convulsi e compressi di quelli attuali. Energia solare, eolica, idroelettrica dovranno necessariamente sostituire i combustibili fossili: queste fonti energetiche non saranno in grado di garantire la sopravvivenza delle tecnologie attuali. In altri termini, la civiltà che ci attende dovrà essere necessariamente meno rapace, meno parassitaria, meno brutale.


Se la città antica era parassita energetico dell’entroterra, le aree urbane contemporanee sono infatti parassite dell’intero pianeta: il consumo di energia che lo stile di vita imposto dalla metropoli implica non potrà essere sostenuto ancora a lungo. Le aree urbane dipendono da territori lontani per ogni sorta di risorse. Una città di un milione di abitanti divora due milioni di chilogrammi di alimenti al giorno producendo, in realtà, nulla. Il Sears Bulding di Chicago contiene 130 chilometri di cavi per ascensori e consuma più elettricità di una cittadina di medie dimensioni. Non c’è alcuna Metropoli Finale nel futuro dell’uomo e del mondo.

V


Possibile come luogo ipertrofico solo all’intersezione di flussi molteplici, la metropoli è l’epitome del moderno. Nel moderno, solo il territorio urbano è significativo. Anche se l’imposizione di ritmi, scansioni, gestualità genera necessariamente una crescita dell’entropia avvertibile, ormai luogo consolidato dell’esperienza comune, la città è ancora il luogo in cui l’illusione della Disciplina Totale può darsi. Tempo Istituzionale, Macchina e Metropoli costituiscono un’articolazione singolarmente potente, in grado di irretire, elidere, dominare. Le lancette dell’orologio scandiscono la dimensione del tempo che rende possibile la dominazione. Ogni forma di dominazione passa per il tentativo di annullamento del tempo pulsionale, interiore: l’innesto del tempo istituzionale sul corpo dei viventi è un operazione macabra, colonialismo del dover essere sulla vita biologica, sull’imprevedibile rumore di fondo dell’umano. E’ un’operazione che induce rigetti, però, un’operazione che non può dirsi mai perfettamente riuscita. Il tempo istituzionale non può eliminare sacche riottose, spazi di vivibilità in cui il tempo interiore legge il mondo secondo ritmi e cicli non associabili alla produzione, alla riproduzione e al consumo.


Una speranza. Per organizzare il non-umano, la sopravvivenza dell’umano è, fino a un certo segno, indispensabile. Il procedere raggelante del post-umano contiene ancora in sé la propria negazione, in altri termini: il processo che conduce al post-umano è reversibile.

La colonizzazione, frattanto, impone slittamenti, precessioni. Il presente diviene il tempo della Performatività. Il tempo dell’Attesa diviene il tempo del Progetto e della Scadenza. Destituito d’interesse, il tempo del Ricordo non ha più valore se non come luogo della fuga nella nostalgia, nella rievocazione identitaria e consolatoria e nella recriminazione personale e collettiva.



VI


Secondo un vecchio nume tutelare, un buon libro di filosofia deve essere simile a un romanzo di fantascienza. Un buon romanzo di fantascienza pone sempre sul tavolo questioni eminentemente filosofiche e politiche.


Concepisco la fantascienza come un’arma ideologica, è evidente. Ogni buon romanzo di fantascienza è un libro a tesi. La tesi di fondo è che è possibile rispondere in maniera progressiva di fronte alle cervellotiche sollecitazioni dell’effetto-realtà, anche di fronte all’Apocatastasi, in altri termini. La fine del mondo è una narrazione, esattamente come il mondo.




VII



La narrazione – affronto un topos wuminghiano – è un gesto di trasmissione. Le generazioni sono una corrente incessante, le storie sono tronchi che galleggiano. Certi tronchi sono ben scavati, reggono l’acqua, i gorghi e le rapide, e non affondano. Certi tronchi, addirittura, riaffiorano più a valle dopo essersi inabissati, fingendo di cedere alle contingenze.


Il flusso incessante e collettivo della narrazione deve attraversare, per darsi, un piano comunitario, e certe narrazioni servono a ridefinire le regole e le logiche di quel piano, in un processo che dura da quanto dura l’uomo come animale sociale. La costruzione di grandi narrazioni collettive è problematica e indispensabile. Perché il territorio della metropoli, che riassume il significato del mondo (solo la metropoli produce, se non senso, almeno simulacri sociali) è il luogo dell’atomizzazione, della differenziazione feticistica, dell’impotenza autocentrica: il tessuto sociale della metropoli pare negare l’esistenza di un piano comunitario, e con la possibilità della narrazione come trasmissione di immagini del mondo.

In questo senso la possibilità stessa di una mitopoiesi è subordinata alla lotta per la riedificazione di un ambito comunitario, sottratto all’imperialismo della produzione di oggetti materiali e di oggetti–pensiero funzionali alla produzione di oggetti materiali. Il pensiero critico è votato all’uccisione del simulacro-città. La prefigurazione di città possibili oltre la specie nefasta del quotidiano è un passaggio obbligato, percorso di autoterapia individuale e collettiva che cerca di rendere l’esistenza quotidiana meno vuota e insensata.


Wu Ming 5



_______________________________________________ www.e-laser.org [EMAIL PROTECTED]

Rispondere a