credo che nel pezzo di andrea ci sia un omissis che a mio avviso non fa
capire la situazione attuale:
la prendo come al solito con una frase estrema
"MAGARI" CI FOSSE UNA VERA PRIVATIZZAZIONE.
tradotto "magari" al taglio dei fondi pubblici corrispondesse un estensione
di quelli privati.
in realtà non è cosi, c'é una tensione in alcuni campi ben specifici verso
il mercato. sopratutto ricerche applicative. ma nella maggior parte dei casi
assistiamo solo al deserto dei tertari senza alcuna iniezione di capitali da
fuori.
il deserto dei tartari creerà l'inutilità dell'università come luogo di
riproduzione e innovazione del sapere (tutto).

per quanto riguarda gli stage, a me se uno che fa una tesi di 6-7 mesi in
una azienda e si prenda qualche spicciolo mi fa solo che piacere. E non
credo che il contributo in 6-7 mesi rappresenti la costruzione del più alto
plus-valore
in una azienda. Disolito questi stages funzionano come preselezione pagata:
se lavori bene ti do un posto
di lavoro buono, in un settore vicino a quello dove hai studiato. MAGARI
fosse cosi per tutte
le discipline. Invece purtroppo non è cosi.

Se poi vogliamo attaccare l'organizzazione del 3+2 beh allora facciamolo
seriamente e diciamo:
agli studenti il 3+2 in una prima fase fa solo comodo, perchè l'università è
stata trasformata in Disneland.
Tutti hanno l'uillusione di prendere un pezzo di carta che servirà sempre
meno.
Il dramma del 3+2 è che il livello medio deell'istrruzione si è
drammaticamente abbassato.
Fra 5-6 anni il mercato della ricerca internazionale guardera' i nuovi Pippo
e Paperino e li mandera' a pedalare!!!!!!!!Questo corrisponderà priùma di
tutto ad una selezione elitista, da scienza e ricerca di massa,
e  poi moltitudinaria, ritorneremo ben presto a una ricerca elitista.
Ogni elitismo, si trasforma presto in selezione di censo (ops diciamolo
classe). Se poi c'è qualcuno che
ha l'illusione che il sapere diffuso si costruisce fuori fuori
dall'università è inutile fare tante pippe su riforme o controriforme.

E i ricercatori precari sono solo il segno dello sfacelo.
La parola d'ordine in questo momento dovrebbe essere perversa: a ridateci
l'università seria dove ti spaccano la schiena ma che serviva a modernizzare
la società. (bussola diceva l'informazione e la divulgazione è la
precondizione della critica). L'università Disneland è la precondizione del
pupazzificio virtuale.......

bax fabio


----- Original Message -----
From: "pwd9148" <[EMAIL PROTECTED]>
To: <[EMAIL PROTECTED]>
Cc: "Antonio Conte" <[EMAIL PROTECTED]>; <[EMAIL PROTECTED]>
Sent: Monday, February 02, 2004 5:30 PM
Subject: [e-laser] proposta per il Manifesto


> Ciao
> sulla scia della chiacchierata con Pirati e Posse_duti, io ho buttato
> giu' questi appunti, che sottoporrei al Manifesto: chissa' che non ci
> diano spazio?
> Per alberto e conte: fwdate nei vostri giri (almeno alle donne...)?
> Ditemi che ne pensate
>
> Andrea
>
> ***
>
> Dopo la diffusione della legge delega sull'università del ministro
> Moratti, si moltiplicano le proteste dei ricercatori e dei docenti,
> colpiti duramente dalla precarizzazione del lavoro che introduce la
> riforma. La "novità" dei ricercatori co.co.co. e dei professori a tempo
> determinato, in realtà, sancisce l'esistente: già nel sistema attuale,
> infatti, le assunzioni a tempo indeterminato dei ricercatori avvengono
> con il contagocce e la stragrande maggioranza dei ricercatori vive
> di contratti di brevissima scadenza.
>
> L'attacco ai diritti che il governo Berlusconi sferra su più
> fronti (dalle pensioni alla scuola) ha però creato nel paese un clima di
> insoddisfazione intollerabile anche dal punto di vista del buon gusto,
> che induce alla protesta persino le categorie più mansuete.
> Così, finiscono per mobilitarsi, creare sigle, unirsi in girotondo
> i precari peggio pagati e i baroni più panciuti, quelli che temono
> ogni cambiamento per il timore di smarrire poteri costruiti con cura
> certosina in decenni di riunioni, consigli, commissioni.
> Nei laboratori non si contano più gli appelli in difesa della
> ricerca pubblica, minata da una flessibilità di stampo aziendale, da
> politiche per la formazione al ribasso e da finanziamenti pubblici
> ridicoli, che le imprese non hanno mai compensato.
>
> Tuttavia, indicare nel ministro Moratti il principale responsabile
> dell'attuale situazione è disonesto, soprattutto se a farlo è chi ha
> governato fino a tre anni fa. Difatti, il tormentone "double face"
> dell'autonomia universitaria (da difendere o attaccare secondo la
> moda) non è certo iniziato oggi, e già da anni i programmi di ricerca
> più finanziati sono quelli che dimostrano maggior spendibilità
> commerciale, in termini di innovazione e di brevetti: basta leggere i
> bandi per i finanziamenti europei per accorgersene.
> Anche dal punto di vista degli studenti, la transizione europea verso
> un'organizzazione universitaria di stampo anglosassone non è stata
> decisa ieri ad Arcore ma a Bologna nel 1999, e la proliferazione di
> stage (rigorosamente non pagati) nelle aziende per gli studenti che
> rimangono all'università oltre i tre anni del bachelor mostra quale
> servizio l'università renda oggi alle aziende.
> Se questo è il contesto, come stupirsi se anche i diritti dei
> ricercatori vengono attaccati in nome dell'efficienza e della
> flessibilità?
>
> Le lotte che agitano accademia ed enti di ricerca non possono
> dunque fermarsi in mezzo al guado, accettando la privatizzazione della
> formazione e della ricerca solo finché tocca gli studenti e i
> malati del terzo mondo, quelli che davvero pagano il prezzo dei
> brevetti. La critica alle riforma in discussione oggi, per essere
> onesta e coerente, dovrebbe riguardare anche le riforme degli anni
> passati, osteggiate da movimenti studenteschi sempre più deboli (gli
> studenti non sono più quelli di una volta, letteralmente) ma
> caldeggiate anche da molto personale universitario di sinistra.
> Occorre quindi rimettere in discussione del significato di università
> "pubblica", ricerca "pubblica", sapere "pubblico": la difesa del
> "pubblico" da parte dei ministri di vario colore, come si è
> visto, ha significato in realtà una privatizzazione strisciante,
> che ha introdotto mercato e precarietà senza leggi né deleghe.
>
> Un servizio "pubblico" deve offrire diritti e garanzie sia a chi lo
> produce o lo produrrà (nel caso, i ricercatori e gli studenti) che a chi
> ne usufruisce, ovvero la società tutta (e non solo le aziende).
> Sul tema delle garanzie per i ricercatori, occorre avere il coraggio
> di entrare nei laboratori e, con un lavoro di inchiesta, verificare
> quali siano le condizioni del lavoro di ricerca: si osserveranno
> giovani studenti (dai laureandi ai dottorandi) che frequentano stage
> nelle aziende, svolgono ricerca e assicurano la didattica, non
> retribuiti o con salari miserrimi. E dei ricercatori, si è già detto.
> Per ovviare a questa situazione, chi si oppone alla Moratti spesso
> rivendica corporativamente il ruolo strategico della ricerca scientifica
> per la competitività del sistema-paese. Ma così facendo dimentica che
> proprio in nome della competitività vengono di solito aboliti i diritti
> e le garanzie: accettarne la logica rifiutandone gli effetti non porterà
> buoni frutti, in termini sindacali. Piuttosto, è auspicabile che i
> ricercatori rifiutino il ruolo speciale che viene loro attribuito
> (l'élite intellettuale), e interpretino la propria funzione sociale
> alla stregua di altri precari, dai tranvieri agli operatori dei call
> center, nell'economia attuale in cui la conoscenza è merce.
>
> "Pubblico", poi, vuol dire a disposizione di tutti. Ciò collide con
> l'impulso che ogni riforma universitaria e ogni ministro, da ultimo
> Stanca, danno alla produzione di brevetti industriali da parte delle
> aziende. Anche senza citare il genocidio farmaceutico, una letteratura
> ormai ampia dimostra come brevettare la ricerca spesso la soffochi,
> alzando i costi della partecipazione al dibattito scientifico. Già oggi
> molti laboratori devono tener conto del costo dei brevetti da pagare al
> momento di scegliere una linea di ricerca. Ma pochi tra gli attuali
> difensori della ricerca pubblica si mossero, ad esempio, quando l'Europa
> minacciava di estendere i brevetti al software, con la legge che portava
> la firma dei laburisti. D'altronde, basta leggere le statistiche
> disponibili in rete per rilevare che proprio negli enti in cui il
> precariato è più diffuso (si veda l'esempio dell'Istituto Nazionale di
> Fisica della Materia) ricerca pubblica e industria vanno a braccetto e i
> brevetti fioccano, per quanto i numeri rimangano inferiori a quelli
> statunitensi.
>
> "Difendere la ricerca pubblica", lo slogan del momento, richiede una
> nuova idea di ricerca pubblica, basata sulla circolazione delle
> conoscenze e non sulla competizione per brevettarle. Mobilitarsi contro
> la legge delega, dunque, potrebbe diventare un boomerang se significasse
> difendere lo status quo, in cui le innovazioni morattiane sono già un
> dato di fatto.
>
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