http://italy.indymedia.org/news/2004/03/510663.php
Intro: il sapere come risorsa produttiva centrale L'economia attuale mette a valore l'informazione e le conoscenze a tutti i livelli. Perci, il controllo sulla distribuzione e l'innovazione del sapere assume un ruolo primario. Attraverso di esso passa l'odierna divisione del lavoro. L'impresa da un lato richiede forza lavoro dotata di conoscenze, mentre dall'altro affossa il sistema universitario pubblico. E' una contraddizione solo apparente: dal punto di vista dell'impresa i saperi devono essere produttivi oggi, ma non devono sottrarre i lavoratori alla precarietà. A questo scopo le riforme universitarie, pensate in funzione del mercato, ostacolano la diffusione libera delle conoscenze che consente al lavoratore di tenere il passo dell'innovazione, e la irregimentano in un sistema di regole mercantili. Questo hanno fatto le riforme dell'università degli anni 90, che hanno introdotto l'autonomia finanziaria, il sistema dei crediti e gli attuali sistemi di valutazione dell'università. La diffusione e l'innovazione delle conoscenze deve essere svolta tra ricercatori e studenti garantiti e non ricattabili, e perciò liberi di condividere saperi Le scoperte e le innovazioni non devono essere prodotte da ricercatori che sopravvivono alla precarietà vendendole: a valutarle e valorizzarle sarebbero, in maniera più o meno indiretta, le imprese, che preferiscono allargare il precariato piuttosto che ridurlo. Con questo metro di giudizio esse decidono i problemi da risolvere, i bisogni da soddisfare, i consumi da introdurre per mezzo dell'innovazione. Le condizioni in cui la ricerca viene svolta ne determinano quindi gli stessi contenuti. Quindi fare ricerca con meno diritti non vuol dire farla meglio o peggio, ma significa fare altro. L'innovazione deve essere invece il risultato di un lavoro di ricerca tutelato e garantito: gli studenti e i ricercatori che lo svolgono devono essere remunerati. Solo così potrà sfuggire alla valutazione di tipo aziendale e non generare altra precarietà. Ogni forma di precariato è quindi dannosa, e non può essere considerata in alcun modo "naturale" o "necessaria". La didattica universitaria deve diffondere saperi e incentivarne la libera circolazione Ogni forma di limitazione dell'accesso ai saperi va combattuta: dalle tasse di iscrizione alle università alla proprietà intellettuale, e ai brevetti. Le università, che oggi sono valutate sulla base dei brevetti depositati e sulle interazioni con il settore privato, devono piuttosto diventare luoghi di protezione dei saperi dalla proprietà intellettuale e dalla valutazione commerciale ("crediti formativi" compresi). Per quanto riguarda la diffusione delle conoscenze all'interno degli atenei, le riforme universitarie della didattica vanno in senso opposto: le riforme, in primo luogo l'applicazione dell'accordo di Bologna, aumentano piuttosto le barriere per mezzo di obblighi di frequenza, crediti, tasse d'iscrizione, selezione all'ingresso, tutoraggio individuale e valutazione della didattica. Verso l'esterno degli atenei, proprietà intellettuale e brevetti non stimolano ricerca e innovazione come si credeva in passato: al contrario, ne distorcono la natura intrinsecamente collettiva. Comunicazione, dibattito e scambio sono le regole fondamentali della ricerca in ogni campo: la ricerca è un bene pubblico, o non è. Le università devono quindi fornire gli strumenti che, come il copyleft nell'informatica, proteggano e allarghino gli ambiti del sapere in cui la proprietà privata è già stata abolita. L'università deve diventare un centro di formazione permanente, poiché le conoscenze sono produttive a tutti i livelli dell'organizzazione del lavoro e durante tutta l'esistenza La formazione permanente offerta oggi (gestita essenzialmente da imprese, dalle corporate university ai corsi di formazione professionale) non fa altro che riprodurre precarietà e ricattabilità, sia per le condizioni di accesso a quel tipo di formazione che per la natura dei saperi insegnati. L'università deve invece proporre un'idea nuova di formazione permanente, che aumenti realmente l'autonomia di chi ne usufruisce e consenta, a chi non accede a un reddito, di tornare a farlo con più diritti di prima. Per far ciò, la formazione permanente dell'università futura dovrà privilegiare la diffusione di saperi liberi: chi fruisce di tali conoscenze viene inserito in un circolo virtuoso, in quanto il libero accesso alle conoscenze (tradizionalmente inteso come un diritto del consumatore: si pensi all'accesso a farmaci, musica o software) è una forma di reddito indiretto, dunque un diritto del produttore. Per questo motivo, l'università non va difesa come una cittadella chiusa: piuttosto, deve aprirsi alla metropoli del precariato diffuso e lì cercare la sua giustificazione sociale. Studenti e ricercatori precari _______________________________________________ www.e-laser.org [EMAIL PROTECTED]