Mauro, io studio chimica. Ti posso garantire che di deus ex machina ne saltano fuori ogni santo giorno. Credo che nessun ateo potrebbe rimanere tale dopo 2 giorni di questa facoltà... se vorrà passare gli esami dovrà credere almeno in una decina di divinità: quelle del Panteon Postulato. Che sia la diva Entropia, o la soprannaturale Psi, o gli sfuggevoli e magici Orbitali, o la Regina Dei Dogmi, l'Uniformità, alla fine del corso di laurea sono convinto che avrò un buon repertorio mitologico con cui descrivere il mondo. Mi sembra che anche i fisici non si allontanino molto da questo destino... Non dico questo perché queste cose non le capisco: sono cose scritte all'inizio di ogni libro che tratti queste materie.
Mi rincresce che i miei miti non siano belli come quelli dei Greci o dei Cristiani: è davvero 1 peccato. Ma tutto è da attribuirsi alla pigrizia dei giorni nostri, in cui non si vuol credere a nulla che non svaghi il pensiero, e in cui i poeti cantano matematiche lontane dall'anima, e scrivono algoritmi anziché alchimie.
Di tutte le prove che adduci, neanche una si muove contro il "disegno intelligente". Sinceramente, considerare il creato come frutto di un "disegno stupido", o di caos, mi sembra un po' azzardato; soprattutto dal momento in cui si osserva che certi comportamenti organizzativi non sembrano affatto casuali, ma in buona parte ripetibili (le reazioni oscillanti), sebbene il determinismo lasci un buono spazio al caos (o "libero arbitrio molecolare" :)). Ma è plausibile anche che sia tutto un caso: le prove si prestano ad essere interpretate a seconda della sensibilità che le analizza.
Tu dici: la natura "Lungo la sua storia ha chiuso molte vie possibili". Solo l'uomo può aprire o chiudere strade, nel percorso della scienza. E' l'uomo a decidere quando un'affermazione è del tutto sbagliata, o quando necessita invece di essere integrata con altre affermazioni. Siamo noi che decidiamo che un'ipotesi è del tutto non plausibile, e smettiamo di ricercare in quella direzione, solo perché 100 fenomeni sembrano andare contro. Nessuno può assicurarci che il 101° fenomeno non sarebbe stato quello in grado di spiegare tutte le altre anomalie e confermare in pieno la teoria.
La scienza lascia l'uomo libero di credere in ciò che vuole, perché è fatta da altri uomini. In alcuni casi è opportuno fidarsi di quello che la maggioranza della gente crede; in altri è meglio avere 1 opinione propria, credo.
Tutte le cose di cui parli, poi, sono perfettamente compatibili con l'ipotesi creazionista, anche se a me personalmente non piace (non dico sia sbagliata: solo ce ne sono di più belle).
Certo, nella bibbia non c'è scritto "l'ottavo giorno Dio creò i fossili" e "il nono giorno ci mise gli isotopi cotti a puntino", dopotutto nessuno gli avrebbe creduto. Ma si può benissimo pensare che, nel creare gli animali e le piante, abbia anche creato i fossili, per lasciare a noi l'imbarazzo della scelta...
Oh, beh, questa era solo una provocazione. Come anche tutto il resto, in fondo.
ciao







--__--__--

Message: 2
Date: Thu, 25 Mar 2004 14:06:53 +0100
From: mauro <[EMAIL PROTECTED]>
To: [EMAIL PROTECTED]
Subject: Re: [e-laser] Darwin, scienza, religione ed epistemiologi
Reply-To: [EMAIL PROTECTED]

Caro Dada,
spero tu abbia qualcosa di solido da mostrare: solido almeno quanto i reperti fossili in chilometri di strati geologici.
La teoria dell'evoluzione è piuttosto confermata, e coincide in modo soddisfacente con le teorie fisiche sul decadimento radioattivo. Inoltre, è decisamente coerente con i meccanismi biomolecolari noti. Ci sono inoltre prove sperimentali sull'evoluzione (su piccola scala) di molti organismi. Che non faccia previsioni non vuol dire nulla, a meno di non volerci mettere ancora una volta sul vecchio positivismo (e allora forse solo qualche parte della fisica potrebbe essere 'scienza').
La teoria dell'evoluzione non parla solo dell'uomo. parla anche dell'uomo. per questo da' fastidio ai cristiani. Le tante teorie simpatiche di cui parli quali sono? Non vorrei definire simpatiche le teorie che parlano di 'disegno intelligente' o di interpretazione letterale della Bibbia. Spero tu non lo faccia. Dunque, preventivamente, ti invito a non considerare antievoluzioniste le teorie di Gould o quelle sull'autorganizzazione (come fanno invece i testimoni di geova), che sono invece antiselezioniste (c'e' una bella differenza).
I postulati indimostrabili, indimostrati e intuitivi nel caso della teoria dell'evoluzione quali sarebbero? Che molti anni fa esistevano specie che ora non esistono? E che ce ne sono di nuove che non esistevano prima? E che esistono fenomeni di resistenza agli antibiotici nei batteri? E il pollice del panda? E le orchidee e i loro impollinatori?
Se poi ci vogliamo imbarcare su una discussione del tipo: "siamo sicuri che domani sorgera' il sole?" oppure "l'albero esiste quando non lo guardo?", allora ridiscutiamo tutta la nostra cultura, e non solo il povero Darwin.
"La natura fa quello che gli pare" mi sembra un po' azzardata. Lungo la sua storia ha chiuso molti vie possibili: ad esempio, non è possibile che esistano animali a sangue caldo che si muovano su ruote invece che sugli arti (ovvio non parlo di biciclette o automobili).
Nonche' il numero delle dita (mai piu' di cinque) nei mammiferi. Insomma, la natura ha una storia. E' una storia di cambiamento. Se poi questo cambiamento l'ha messo in moto iddio o la grande madre o la zia peppa, lo scopriro' (forse) dopo morto o in seguito ad estasi. Per il momento, la biologia mi descrive bene le cose che potrebbero essere accadute e che sono accadute, senza bisogno di ricorrere a un deus ex machina.
spero basti.
ciao
m




dp wrote on 24/03/2004 22.52:



Che paroloni! No, volevo solo fare un personalissimo appunto su questa questione di Darwin e degli antievoluzionisti.
Dunque, credo certamente che escludere la teroia dell'evoluzione non sia una cosa da fare. Anche se tante altre teorie simpatiche sono state proposte in sostituzione o correzione, è cmq opportuno un riferimento ad una corrente di pensiero che ha così tanto influenzato il pensiero degli ultimi 200 anni.
Ma non mi attenterei a criticare chi si dichiara antievoluzionista. Non conosco bene queste teorie, cmq immagino che come ogni teoria scientifica si basi su postulati indimostrati, indimostrabili e intuitivi; e come credo quasi ogni teoria sull'evoluzione, si basa su una buona fondamenta di soggettività e creatività: non è possibile fare tanti mondi, aspettare miliardi e miliardi di anni e guardare se è piacevole considerarla vera, o se ci sommuove il nostro senso di onestà verso la natura e perciò va considerata falsa.
La teoria dell'evoluzione non ci dice nulla sul futuro (non è possibile contraddirla), se non nel brevissimo termine, nanocronometrico vista la durata di una vita umana o di una civiltà intera.
E' un po' come una religione: nulla dice del mondo reale. Parla solo dell'uomo, di dove va e donde viene. Ecco perché evoluzione e religione si infastidiscono così tanto a vicenda: ognuna delle due dice qualcosa sull'uomo. E soprattutto, la teoria evoluzionistica si spaccia per appartenente a quello stesso gruppo di teorie che fanno muovere le automobili o guardare programmi demenziali in tv.
Dal mio punto di vista, non essendo in pratica falsificabile con esperimenti ripetibili, non è possibile dire che si tratta di vera e propria "scienza".
Pretendere poi di imporre alla natura concetti come "causalità" o "casualità" è un'assurdità. La natura fa quello che gli pare, e si presta ad essere interpretata da tutti i punti di vista, ma mai e poi mai credo si lasci spiegare (non mi risulta sia mai successo...).
ciaociao


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Message: 3
To: [EMAIL PROTECTED]
From: bussola <[EMAIL PROTECTED]>
Subject: Re: [e-laser] Darwin, scienza, religione ed epistemiologi
Date: Thu, 25 Mar 2004 16:53:54 +0100
Reply-To: [EMAIL PROTECTED]

In 16.49 25/03/04 +0000, hai scritto:


Non conosco bene queste teorie, cmq immagino che come ogni teoria scientifica si basi su postulati indimostrati, indimostrabili e intuitivi....



immagini male. try
J. Gould, La struttura della teoria dell'evoluzione, edizioni Codice, euro 58
facciamo finta che non hai mandatolamail e poi ne riparliamo ok?
m.


--__--__--

Message: 4
Date: Thu, 25 Mar 2004 23:22:49 +0100 (CET)
From: [EMAIL PROTECTED]
To: [EMAIL PROTECTED], [EMAIL PROTECTED]
Subject: [e-laser] =?iso-8859-1?Q?L'universit=E0_dei_precari?=
Reply-To: [EMAIL PROTECTED]

http://italy.indymedia.org/news/2004/03/510663.php

Intro: il sapere come risorsa produttiva centrale

L'economia attuale mette a valore l'informazione e le conoscenze a tutti i
livelli. Perci, il controllo sulla distribuzione e l'innovazione del
sapere assume un ruolo primario. Attraverso di esso passa l'odierna
divisione del lavoro. L'impresa da un lato richiede forza lavoro dotata di
conoscenze, mentre dall'altro affossa il sistema universitario pubblico.
E' una contraddizione solo apparente: dal punto di vista dell'impresa i
saperi devono essere produttivi oggi, ma non devono sottrarre i lavoratori
alla precarietà. A questo scopo le riforme universitarie, pensate in
funzione del mercato, ostacolano la diffusione libera delle conoscenze che
consente al lavoratore di tenere il passo dell'innovazione, e la
irregimentano in un sistema di regole mercantili. Questo hanno fatto le
riforme dell'università degli anni 90, che hanno introdotto l'autonomia
finanziaria, il sistema dei crediti e gli attuali sistemi di valutazione
dell'università.

La diffusione e l'innovazione delle conoscenze deve essere svolta tra
ricercatori e studenti garantiti e non ricattabili, e perciò liberi di
condividere saperi

Le scoperte e le innovazioni non devono essere prodotte da ricercatori che
sopravvivono alla precarietà vendendole: a valutarle e valorizzarle
sarebbero, in maniera più o meno indiretta, le imprese, che preferiscono
allargare il precariato piuttosto che ridurlo. Con questo metro di
giudizio esse decidono i problemi da risolvere, i bisogni da soddisfare, i
consumi da introdurre per mezzo dell'innovazione. Le condizioni in cui la
ricerca viene svolta ne determinano quindi gli stessi contenuti. Quindi
fare ricerca con meno diritti non vuol dire farla meglio o peggio, ma
significa fare altro. L'innovazione deve essere invece il risultato di un
lavoro di ricerca tutelato e garantito: gli studenti e i ricercatori che
lo svolgono devono essere remunerati. Solo così potrà sfuggire alla
valutazione di tipo aziendale e non generare altra precarietà. Ogni forma
di precariato è quindi dannosa, e non può essere considerata in alcun modo
"naturale" o "necessaria".

La didattica universitaria deve diffondere saperi e incentivarne la libera
circolazione

Ogni forma di limitazione dell'accesso ai saperi va combattuta: dalle
tasse di iscrizione alle università alla proprietà intellettuale, e ai
brevetti. Le università, che oggi sono valutate sulla base dei brevetti
depositati e sulle interazioni con il settore privato, devono piuttosto
diventare luoghi di protezione dei saperi dalla proprietà intellettuale e
dalla valutazione commerciale ("crediti formativi" compresi). Per quanto
riguarda la diffusione delle conoscenze all'interno degli atenei, le
riforme universitarie della didattica vanno in senso opposto: le riforme,
in primo luogo l'applicazione dell'accordo di Bologna, aumentano piuttosto
le barriere per mezzo di obblighi di frequenza, crediti, tasse
d'iscrizione, selezione all'ingresso, tutoraggio individuale e valutazione
della didattica. Verso l'esterno degli atenei, proprietà intellettuale e
brevetti non stimolano ricerca e innovazione come si credeva in passato:
al contrario, ne distorcono la natura intrinsecamente collettiva.
Comunicazione, dibattito e scambio sono le regole fondamentali della
ricerca in ogni campo: la ricerca è un bene pubblico, o non è. Le
università devono quindi fornire gli strumenti che, come il copyleft
nell'informatica, proteggano e allarghino gli ambiti del sapere in cui la
proprietà privata è già stata abolita.

L'università deve diventare un centro di formazione permanente, poiché le
conoscenze sono produttive a tutti i livelli dell'organizzazione del
lavoro e durante tutta l'esistenza

La formazione permanente offerta oggi (gestita essenzialmente da imprese,
dalle corporate university ai corsi di formazione professionale) non fa
altro che riprodurre precarietà e ricattabilità, sia per le condizioni di
accesso a quel tipo di formazione che per la natura dei saperi insegnati.
L'università deve invece proporre un'idea nuova di formazione permanente,
che aumenti realmente l'autonomia di chi ne usufruisce e consenta, a chi
non accede a un reddito, di tornare a farlo con più diritti di prima. Per
far ciò, la formazione permanente dell'università futura dovrà
privilegiare la diffusione di saperi liberi: chi fruisce di tali
conoscenze viene inserito in un circolo virtuoso, in quanto il libero
accesso alle conoscenze (tradizionalmente inteso come un diritto del
consumatore: si pensi all'accesso a farmaci, musica o software) è una
forma di reddito indiretto, dunque un diritto del produttore. Per questo
motivo, l'università non va difesa come una cittadella chiusa: piuttosto,
deve aprirsi alla metropoli del precariato diffuso e lì cercare la sua
giustificazione sociale.

Studenti e ricercatori precari



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