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Ciao visto che la "prateria precaria non brucia ancora", porto la nostra (nostra di LASER) testimonianza di piromani falliti. Nei laboratori italiani c'e' maretta per la riforma Moratti, che colpisce il precariato scientifico diffusissimo. Gli scienziati reagiscono come corporazione verticale, al solito, e nessuno pare voler legarsi orizzontalmente con altre lotte precarie. Abbiamo cercato di portare avanti in proprio questo discorso, ma con poco successo finora. Se a qualcuno interessa, segnalo alcuni nostri contributi: - http://www.e-laser.org/htm/news.asp?idNews=131 - http://www.e-laser.org/htm/interventi/global.asp (da Global) - l'intervento di LASER al FSE (in un seminario-incontro sulla ricerca con SNUR-CGIL, Professori anti-Moratti e altri precari CGIL): Un nuovo sapere pubblico ======================== Per la ricerca italiana è un momento particolare. Infatti, la riforma Moratti con i suoi tagli sta minacciando il normale funzionamento della ricerca pubblica. Trattandosi di un attacco che viene da destra ad un apparato statale, oggi si rispolverano slogan che valgono solo quando governa Berlusconi, e si chiama il popolo alla rivolta contro le Privatizzazioni e contro la gestione manageriale della cosa pubblica. Ma la società stenta a mobilitarsi, come invece ha fatto per l'articolo 18 o per le pensioni. Il fatto è che gli scienziati difendono la ricerca pubblica, senza interrogarsi su cosa significhi oggi un "sapere pubblico". Infatti, come sa chi fa ricerca in un'università o in un ente pubblico di ricerca, la ricerca statale è pressoché indistinguibile dalla ricerca privata. 1. Le motivazioni delle ricerche è già oggi molto simile a quelle delle aziende che fanno ricerche. Infatti, i finanziamenti alle ricerche oggi privilegiano fortemente le scoperte che possono portare a maggiori integrazioni tra scienza e industria. E gli uffici brevetti attivati nelle università incentivano fortemente i ricercatori a depositare brevetti anche senza senso, come nel caso brevetti nazionali di software e algoritmi che sono facilmente aggirabili sul piano internazionale. Depositare un brevetto è diventato un "valori in sé" per gli amministratori degli istituti di ricerca pubblici. 2. Inoltre, anche la precarietà del lavoro in un laboratorio pubblico non ha nulla da invidiare alle condizioni delle imprese private. La mancanza di orari di lavoro, la flessibilità estrema, la disponibilità all'immigrazione, il servilismo nei confronti dei "capi" sono spesso più gravi nelle università che nelle grandi aziende. Non si capisce allora cosa si voglia difendere di questo sistema di ricerca pubblico, che di pubblico ha ben poco. Aumentare i finanziamenti non cambierebbe le condizioni dei ricercatori che animano i laboratori. 3. Se la privatizzazione della scienza non scalda gli animi, non è solo per la difficoltà di comunicazione tra scienziati e cittadini. Tutto sommato, gli scienziati non possono lamentarsi dell'ascolto dei cittadini, visto che ogni anno chiedono loro di firmare un assegno in bianco chiamato Telethon. Per inciso, Telethon in 12 anni ha fruttato 380 miliardi di lire. Per dare un'idea, il CNR ha stanziato 12 miliardi l'anno per il suo Programma Finalizzato denominato "Biotecnologie". Ci si trova in una situazione simile a quella degli anni settanta, in cui il Partito Comunista attribuiva alla scienza in sé proprietà progressiste, senza discuterne i contenuti. Se fossero scesi dalla Torre d'Avorio, gli scienziati si sarebbero resi conto che al di fuori dei laboratori, i movimenti hanno rivolto la loro attenzione al progresso e all'habitat tecnologico che ci circonda. Certo bisognava saperli e volerli ascoltare. 1. Tra i movimenti più attivi anche nel Forum Europeo ci sono i movimenti che si oppongono al copyright e al sistema dei brevetti. Essi hanno mostrato che l'innovazione tecnologica senza proprietà intellettuale è non solo possibile, ma anche più efficace e partecipata. Inoltre crea comunità tra fruitori e consumatori (e spesso si tratta delle stesse persone) di tecnologia che la scienza tradizionale, pubblica o privata, non è capace di creare. Giustamente, queste comunità oggi intendono difendere i saperi prodotti in comunità dall'appropriazione di qualche multinazionale. 2. Altri gruppi, tra i più attivi al FSE, si oppongono agli OGM. Sono spesso visti con supponenza dagli "esperti", perché sembrano oscurantisti, reazionari o ludditi. Ma è una lettura disonesta, perché i conservatori stanno dall'altra parte. In fondo i movimenti cosiddetti "anti-biotech" chiedono soprattutto che le comunità che producono i saperi non debbano poi trovarsi a difendersi da essi. E comunità non significa solo le migliaia di contadini indiani o malgasci messi sotto scacco da un solo brevetto, ma anche ai biologi o agli informatici delle nostre latitudini che producono conoscenza e poi sono costretti a pagare per poterla usare. 3. Infine, i precari del lavoro intellettuale sono quest'anno usciti allo scoperto, rivendicando una nuova carta di diritti per il lavoro odierno, prettamente precario e immateriale. E tra i precari del lavoro immateriale includo anche gli studenti, visto che la nuova università li integra sempre di più nella competizione economica nel momento stesso in cui ricevono una formazione. I giovani ricercatori, dottorandi o assegnisti, fanno fatica a unirsi a queste mobilitazioni, nonostante le loro condizioni di lavoro non siano troppo diverse da quelle di un programmatore in una start-up della periferia di Milano. Gli scienziati che oggi protestano contro il governo Berlusconi potrebbero umilmente imparare di più da questi movimenti, invece di chiamarli all'appello in nome di un generico senso del "pubblico", un po' alla maniera dei Girotondi. Il "pubblico non statale" rivendicato e prodotto da questi movimenti è un pubblico più vivo e più capace di creare comunità. Inoltre, è già lì da anni, e difende i saperi pubblici ben più di mille lobby e mille appelli. Ma com'è il pubblico che emerge da questi movimenti? 1. Intanto, questo nuovo sapere pubblico non è "dirigista", cioè non chiede agli scienziati di occuparsi di un tema invece di un altro. L'attenzione è rivolta alle condizioni in cui viene prodotto il sapere, garantendo che un sapere che nasce all'origine da un contesto libertario, democratico ed autogestito non possa essere poi recuperato e divenire strumento di profitto e produzione di nuove disuguaglianze. Si pensi ad esempio all'anti-brevetto denominato copyleft, che "protegge" un'innovazione dalla brevettabilità. 2. Inoltre, nell'attuale contesto socio-economico, dominato dalla produzione immateriale, la rivendicazione di un nuovo sapere pubblico gratuito diventa immediatamente una rivendicazione sindacale. Infatti, oggi i lavoratori immateriali di cui gli scienziati sono solo una parte, vedono il sapere non solo come un prodotto, ma anche come una materia prima. Infatti, per produrre sapere occorre poter disporne liberamente. In altre parole, il primo reddito di cui ha bisogno un produttore di sapere, è il sapere stesso. Per questo, anche le mobilitazioni dei precari al di fuori dei laboratori difendono, in fin dei conti, un sapere pubblico in senso nuovo, e lo inseriscono in una futura carta dei diritti del lavoro immateriale, ancora tutta da scrivere. In conclusione, la questione della difesa del sapere pubblico è già uscita dai laboratori e non può risolversi solo con un dialogo tra una lobby di professori e un governo paramafioso. Questo corrisponde ad una mutazione di fondo: il sapere non si produce più solo nei laboratori, ma anche fuori, nella società in rete, e a tutti i livelli. Solo se gli scienziati sapranno partecipare a quei movimenti apparentemente estranei o addirittura "antiscientifici" come il movimento contro le biotecnologie, potranno difendere efficacemente il sapere e la ricerca pubblica. Dall'informatica possono arrivare interessanti contaminazioni in altri settori come la biologia, visto che addirittura nei disprezzati Stati Uniti i biologi del Progetto Genoma hanno fatto propri i principi del free software e garantito la pubblicità della bioinformatica che ha permesso il sequenziamento. E i giovani ricercatori devono considerarsi innanzitutto come giovani lavoratori precari, e non come futuri "esperti" avulsi dai conflitti sociali. Altrimenti, l'opposizione a Berlusconi si risolverà solo in un'ennesima vertenza corporativa, destinata a spegnersi con il prossimo governo D'Alema o Rutelli. ___________________________________________ Rekombinant http://www.rekombinant.org