Giulio, grazie delle precisazioni. Ed è giusto dire che il counterbalancing ha a che fare prima facie con la politica degli stati che non con il potere delle identità. Lo dico anch'io che il progetto europeo è finora stato top-down. Ma Vittorio ha ben mostrato che non tutto di esso è da gettare al vento.

Oggi la costruzione comunitaria sta impantanandosi forse irrimediabilmente nelle sabbie mobili delle sue contraddizioni: prime fra tutti il deficit democratico e la relazione atlantica, per non parlare del tolemaismo monetarista che rischia di stritolarci tutti e di dare nuovo fiato alle destre. Che facciamo?
F15 ha espresso un'identità europea, composita, magmatica, spuria, che va dalla sinistra sociale all'ambientalismo riformista, dall'attivismo cattolico al transgenderismo laico, ma che appartiene potenzialmente a tutte e tutti coloro che vivono o decidono di venire a vivere in questa ex penisola dell'Asia.


Tanto per essere più espliciti: riforma di Schengen e affossamento della polizia antimmigrazione europea, cittadinanza europea per chiunque nasca sul suolo dell'Unione e diritto di voto per chiunque vi sia residente, estensione del diritto d'asilo e abolizione di centri di detenzione e misure di deportazione; sono tutte rivendicazioni centrali per costruire un'identità europea che osteggi il nazionalitarismo xenofobo in agguato e si opponga all'identità cosmoliberista espressa dalle élite europee, ma che sia in grado di discernere e salvaguardare ciò che oggi della costruzione europea è foriero di sviluppi progressivi. E' una sfida immane, ma forse preferisci la stolida reiterazione di simboli e parole d'ordine consunti che solo il massimalismo ideologico riesce ad ammantare di più alta radicalità (per inciso: com'è che la situazione è peggiorata in italya e in europa nonostante la crescita del movimento?).

At 18.29 23/08/03 +0200, you wrote:
>tu esprimi un'identità resistenziale grande come una casa: l'identità comunista, oggi ridotta alla costante critica di ogni possibilità presente, avendo perso ogni ipotesi credibile di futuro.

>Pertanto io sono profondamente in disaccordo con l' affermazione che "un’identita’ non controbilancia un’altra, se mai entrano in conflitto". Poiche' in effetti vale l'opposto, che comunicazione, scambio, articolazione (non bilanciamneto pocihe' non si tratta della relazione fra due misure, due pesi, due cose) non e' possibile se non a partire da due identita'.
Dunque, non bisogna avere paura del concetto di identita'.


Una precisazione. Non ho scrtto contro le identita' tout court e non credo di essermi contraddetto esibendo un’identita' comunista. Quando ho scritto "un’identita’ non controbilancia un’altra, se mai entrano in conflitto", in effetti ha ragione VM, l'affermazione dove essere completata: questo conflitto non e' di per se' male, perche' apre la possbilita' del cambiamento. Nel mio intervento, il problema non era il concetto di identita' in se' , a meno che questa non sia intesa in termini culturalistici, organicisti o naturalistici. L'identita' non e' qualcosa di gia' dato, ma e' possibilita' della differenza, qiundi anche possibilita' del conflitto - non necessariamente buono: dipende da quali identita' e differenze sono in gioco. E' a parire dalle identita' che si pongono le differenze, e' a partire dall'esperienza di una differenza che si coagulano identita'. Invece, il problema del bilanciamento (fra politiche internazionali, interessi economici, principi etici o giuridici) e' sempre quello rawlsiano e habermasiano della mediazione e del consenso: come dice Alex, si tratta di creare una ipotesi credibile di futuro.
Ma e' di questo che parliamo quando diciamo identita' europea? Si tratta di un'identita' che nasce dal conflitto, per produrre conflitto e cambiamento? O si tratta di un'identita' che gia' riassume in se' e bilancia le differenze, per essere unita' delle differenze - unita' nella diversita', secondo il suo slogan? A me sembra assurdo, pateticamente consolatorio, dire che questo discorso sull'identita' europea nasca dai movimenti sociali, che se mai sono internazionalisti o globali e ora in certi suoi settori recepeiscono passivamente questo discorso. Certo l'integrazione europea nasce anche dai movimenti sociali, per rispondere alle sfide che sollevano (ad es., la sfida sollevata negli anni '50 dal movimento operaio, la sfida sollevata oggi dai movimenti antiliberisti o anticapitalistici), ma il discorso sull'identita' europea no. Questo discorso si sviluppa soprattutto a partire dagli anni 80 e dopo Maastricht, ed e' un modo in cui le istituzioni europee (sovranazionali e intergovernative, non importa: sia la Commissione, sia il Consiglio) tentano di rispondere alla questione del deficit democratico, aggirandola. Il discorso sull'identita' europea nasce dall'alto, non nasce dal conflitto, ma dalla ricerca del consenso. Quando si parla di biopotere ci si riferisce anche a questa costruzione di identita' disciplinate e funzionali al loro governo. L'Unione cerca legittimazione politica e la trova in una impolitica identita' europea o in una pangiuridica cittadinanza europea. Dovremmo prestare orecchio e rimasticare questo discorso? La paura di non prestare il nostro contributo costrttivo al nuovo potere europeo deve farci accettare qualsiasi sciocchezza? Io non riesco ad immaginare nessun discorso produttivo in termini politici che assuma a premessa o a conclusione l'identita' europea - se non altro, perche' necessariamente esclude coloro che, non essendo e non volendo essere europei, vivono in Europa o muoiono sulla soglia dell’Europa.
___________________________________________
http://rekombinant.org
http://rekombinant.org/media-activism

___________________________________________


http://rekombinant.org
http://rekombinant.org/media-activism

Rispondere a