Re: [RK] satori a firenze

[rossana]

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Dopo Firenze: metto a confronto i due punti di vista di Bifo e Albion.
Mentre il primo scrive che attualmente questo movimento è politicamente inefficace perchè il potere non si basa sul consenso ma sulla guerra sul terrore sulla minaccia, Albion scrive che oltre la guerra bisogna intervenire sui altri campi quali i servizi sociali, il lavoro, la comunicazione e che per far questo c'è bisogno della pace.
Non sono d'accordo con Albion, se l'apparato bellico funziona, è perchè noi tolleriamo e partecipiamo al suo funzionamento. Come? Culturalmente dividendo la guerra dai servizi sociali, dal lavoro e dalla comunicazione. Praticamento cercando la pace eliminando il conflitto. Il conflitto è necessario per una società libera e pluralista. E' inutile denunciare la sofferenza e la miseria degli altri, se abbiamo introiettato nella nostra vita, nei luoghi di lavoro e non lavoro l'arte dell'arrangiarsi, dell'inganno e dell'autoinganno. Tornando a casa dalla manifestazione in un treno che sembrava trasportare bestiame per come eravamo ammassati, mi son trovata a discutere con ragazze giovanissime. Alcune studentesse e altre lavoratrici precarie. Le prime avevano bisogno di compiere lavoretti per studiare, le altre per scelta. Entrambe sapevano di essere sfruttate ma erano incapaci di pensare ad una via di uscita. Tutte/i costretti a lavorare e lavorare male. Tutti pronti a denunciare le ingustizie generali e tutti capaci di risolvere i propri problemi individualmente ma non collettivamente.
Il nuovo paradigma della guerra è questo, cosa c'entra la guerriglia?
L'azione come quella dei disoccupati di Napoli che chiedono il reddito garantito minimo è guerriglia? Il neoliberismo è stato capace di intrecciare il terrore del totalitarismo e l'intimidazione del sistema neoliberista.
Se è vero come scrive Bifo che a Firenze si è recuperato un ambito per la costruzione di una prospettiva costituzionale europea, e per Albion che proprio alla UE bisogna chiedere la risoluzione dei conflitti, vuol dire che siamo ancora fermi allo scarto fra essere e dover essere.

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