Buonagiornata a tutt*
ricevo da altra lista e giro.
il futuro che ci aspetterebbe secondo le speranze di lorsignori ;-(
jmp

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Da New York
Luca Ventura

   Trasformare il marketing, fino ad oggi prevalentemente considerato
un'arte o un mestiere, in una sorta di scienza esatta. E' questo
l'obbiettivo degli esperti di neuromarketing, la nuova branca della
ricerca che utilizza tecniche e strumenti delle neuroscienze per
studiare le reazioni del subconscio di fronte a prodotti e inserzioni
pubblicitarie. Non più, dunque, questionari o indagini di mercato, né
lo studio delle impressioni facciali o del linguaggio corporale, ma
elettrodi e sensori in grado di tradurre in parametri oggettivi tutti
quei processi emozionali e cognitivi indotti dai messaggi commerciali.
Una nuova frontiera per il marketing, dunque, alla quale il magazine
economico Forbes ha dedicato la copertina di questa settimana.
   Quello che si cerca d'individuare, spiega la testata statunitense, è
insomma il "buy button", quel meccanismo in grado d'indurre un volta
azionato all'acquisto di un particolare prodotto. L'obbiettivo è
lontano e un po' inquietante, ma il campo in cui si muove non è affatto
quello della fantascienza. L'autrice dell'inchiesta di Forbes, Melanine
Wells, racconta infatti che con sofisticati scanner si è oggi
perfettamente in grado di registrare l'attività di 12 differenti
regioni del cervello e le reazioni che s'innescano di fronte a speciali
stimoli visivi e orali. Mostrando alle cavie umane usate nei test
pubblicità e prodotti e osservando quali particolari porzioni del loro
encefalo si accendono, i ricercatori sono in grado di volta in volta di
dire se la risposta è di piacere, disgusto, eccitazione, se ancora si
sono attivati processi di decodificazione e memorizzazione del
messaggio pubblicitario, un fondamentale primo passo in direzione
dell'acquisto dell'oggetto reclamizzato.
   Quegli stessi macchinari fino ad adesso usati per la diagnosi di tumori
cerebrali e la prevenzione degli infarti  serviranno dunque un giorno a
determinare se una stagione andrà più il rosa del nero o se davvero gli
hamburger piacciono di più con i cetriolini o senza? Nel frattempo,
risponde la Wells, è certo che numerose multinazionali sono
sufficientemente intrigate dall'ipotesi di finanziare questo genere di
ricerche: General Motoris, Coca-Cola, Unilever, Johnson&Johnson,
Hallmark, Protecter & Gamble, Kellog, solo per citarne alcune. Lo scopo
non è che quello di capire prima che il lancio avvenga quale sarà il
livello di gradimento di un prodotto, della sua confezione e delle
modalità utilizzare per pubblicizzarlo. Un obbiettivo niente affatto
diverso da quello che la maggior parte degli esperti di marketing
cercano di conseguire con i più tradizionali strumenti d'indagine
adesso a disposizione. Strumenti limitatamente efficaci, a detta dei
neuromarketer, poiché al momento di fare un acquisto quelle che si
operano sono più scelte emozionali che non razionali, dettati da
impulsi che il più delle volte noi stessi non saremmo in grado di
spiegare.
E' proprio qui, infatti, che risiede la vera differenza tra le nuove
metodologie adottate e le risposte date in un questionario: le onde
cerebrali non possono mentire.
   I risultati prodotti nel corso di queste ricerche sono in effetti
spesso sorprendenti. Uno dei maggiori investitori in questo genere di
studi è la Daimler-Chrysler, il cui centro di ricerche a Ulm, in
Germania, svolge con la clinica universitaria locale esperimenti
finalizzati a rendere i propri veicoli non soltanto più sicuri ma anche
più desiderabili. Nei soggetti sottoposti a test è stato per esempio
scoperto che l'area del cervello deputata al riconoscimento dei volti
umani si attiva quando vengono mostrate immagini della parte frontale
di auto sportive, e in maniera particolarmente evidente, quando i fari
ricordano in qualche maniera la forma degli occhi. Quella che scatta è
insomma una sorta di identificazione soggetto-oggetto. Non una
curiosità di poco conto se si pensa alle possibili conseguenze rispetto
a tutto quanto concerne il design e la concezione generale  di un
veicolo in un'industria il cui volume d'affari  è enorme in ogni angolo
del mondo.
   Si tratta di quelle stesse cifre che in parte servono a finanziarie le
nuove avanguardistiche ricerche condotte sulle relazioni profonde che
legano materia grigia a grandi e piccoli acquisti. Non è un caso che il
Neuromarketing, a dispetto di tutte le sue promesse, sia infatti
pratica ancora poco diffusa.  Questo genere di studi, riferisce la
reporter di Forbes, ha costi iperbolici. L'affitto dei macchinari può
costare oltre 1.000 dollari l'ora, e un singolo esperimento, il quale
di solito  include test su almeno una dozzina di stimoli sensori e
oggetti, può richiedere l'esborso di 50 mila dollari. La posta in
gioco, del resto, è altissima. Solo negli Stati Uniti, lo scorso anno,
sono infatti spesi 117 miliardi di dollari in inserzioni pubblicitarie,
mentre altri 7 o quasi se non sono andati in tradizionali ricerche di
mercato e indagine statistiche.
   Senza far uso di elettroencefalogrammi o risonanza magnetica, sono in
ogni caso assai numerose le aziende che mostrano di prendere molto sul
serio quanto avviene nella psiche umana al momento in cui si fa un
acquisto. Colgare-Palmolive, Kraft, Unilever si avvalgono per esempio
degli studi sul condizionamento ambientale svolti da un centro di
ricerche nel New Jersey. Un escamotage promozionale di queste società è
tra gli altri quello di distribuire i propri prodotti a gente che si
trova in vacanza. "L'umore è buono", ha spiegato a Forbes James Bailey,
docente della George Washington university, "e così, una volta finita
la vacanza , basta vedere quello stesso oggetto esposto in un negozio
che è un attimo: il meccanismo è lo stesso del cane di Pavlov".
L'efficacia è assicurata: l'impulso di provare e di rimpossessarsi a
tal modo di quello stesso stato di allegro relax vissuto in vacanza è
incontenibile.
   Simili dinamiche trovano perfetta rispondenza nei risultati fino ad
adesso prodotti dagli studi di neuromarketing. I ricercatori, va detto,
 pensano già di aver individuato, se non proprio il buy-button,
perlomeno quella porzione del cervello che potrebbe conservare la
chiave per la realizzazione di più alti profitti. Quello che si
prefigura è insomma un futuro in cui il supermercato sarà il luogo di
sfide psicologiche particolarmente insidiose, con gli avventori
impegnati a combattere irrefrenabili appetiti e desideri indotti da
esperti di marketing e occulti manipolatori della psiche.

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