Il Tue, 26 Aug 2003 13:59:58 -0700 (PDT)
vittorio marchi <[EMAIL PROTECTED]> ha scritto:


>    I movimenti possono essere progressivi o regressivi. Essi vincono
>    sempre, semplicemente perche_ spostano i riferimenti e pro-ducono
>    nuova identita'. I movimenti cosi_ come le rivoluzioni sono linee
>    di fuga ricombinanti dove le vecchie distinzioni vengono sovvertite
>    e le identita' vengono scomposte e riaggregate in una nuova
>    prospettiva. Essi sono eventi che fanno differenza e definiscono
>    nuove basi del discorso politico. Sta alla poltica saper leggere ed
>    interpretare la proiezione di tendenza che essi pro-ducono.

Scusami, ma non mi pare un'affermazione politica, ma meta-politica. In
che senso vincono SEMPRE? Anche la controrivoluzione è un movimento che
sposta riferimenti e produce nuove identità. la produzione di nuove
identità non è in nessun caso un elemento di 'vittoria' dei movimenti
che, come anche tu dici, sono regressivi o progressivi. Il problema,
poi, è vedere rispetto a che...ma questa è altra questione...
Carl Schmitt, ad esempio, che è il piùimportante contro-rivoluzionario
del XX secolo, è uno che pro-duce, nel senso appunto che guida verso, ma
non ha prodotto'nessun movimento'. Ha'guidato', ha cercato di
governare'un' movimento. Cioè HA FATTO IL POLITICO, anzi, ha fatto del
politico il cuore della lettura del movimento nazional-socialista. Ha
fatto, cioè, quello che dici tu: ha interpretato la proiezione di
tendenza e ha cercato di guidarla. E l'ha letta bene, molto meglio dei
comunisti tedeschi!! E l'ha fatta con una profondità tutta politica che
proprio sul pro-durre, ripeto, nel senso di condurre verso, si è
strutturata (potrei parlare pure di Heidegger e della sua adesione alle
SA, l'ala movimentista.....ma non mi pare il caso con il
pochissimo spazio proprio di una mail).
Bene: il movimento non ha vinto: non  ha vinto proprio per nulla.
E non ha vinto nemmeno il con-durre nè il pro-durre di Schmitt.
Non ha vinto nè la dinamica di produzione nè quella di interpretazione
dei movimenti. Non ha vito la produzione di nuove soggettività...perchè,
appunto, NON E' QUESTO IL PUNTO....(glisso sulla nozione di autonomia
del politico che negli anni 70 qualche disperato intellettuale marxista
ha cercato di declinare, proprio per rispondere all'eteronomia dei
movimenti....)

> 
>    I movimenti sono un dato di realta', la critica (dialettica) un
>    fatto della ragione politica. I movimenti esprimono un disagio o un
>    desiderio, non fanno politica. Ed e' piuttosto vero l_opposto, e_
>    cioe_ che la politica si fa sulla testa dei movimenti. 

Guarda, ricostruisco la tua frase con un altro ordine: "I
movimenti...non fanno politica...sono un dato di realtà. La critica
(dialettica) un fatto della ragione politica, i movimenti un dato di
realtà."
Ora:
1) da quando in qua la critica dialettica sia un 'fatto' della ragione e
i movimenti un 'dato di realtà'? ma da un bel pò!! dall'Introduzione
alla 'Fenomenologia' di Hegel...soltanto che lui lì era già un bel pò
più avanti di te...bella produzione di nuova soggettività....
2) permettimi, Marx ti avrebbe preso a mazzate. E ti avrebbe detto (come
ha già detto semplicemente al suo amicone che ricordavamo prima) che
cammini con la testa per terra e i piedi in aria.....(e scusami la
banalizzazione...della posizione di Marx, ovviamente...;-))) a meno
che...ma lasciamo cadere, qualcuno pensi che Gromiko avesse capito i
Manoscritti del '44...a quel punto tutto è possibile dire...


>E la  politica puo_ vincere e perdere. La critica (dialettica) pertanto
>    si applica alla politica, ai movimenti l_analisi della loro natura
>    e forma. Scambiare I due ruoli significa voler portare la storia
>    inietro e fare il gioco della reazione. Burke, ad esempio, faceva
>    la critica della rivoluzione francese. E Burke lavorava per la
>    reazione.

Embè? Burke lavorava per la reazione, Schmitt di più, ma personalmente
non conosco uno che ha capito meglio Lenin di Carl Schmitt....
Non capisco, qui, la differenza tra la critica dialettica applicata
(glissiamo sull'applicazione di una teoria...) alla politica e l'analisi
della natura dei movimenti. Quali sarebbero le differenze tra i due
metodi? e quali sarebbero, in specifico, i due metodi da applicare a
questi oggetti che stanno lì...?? Uno è critico dialettico e l'altro
dogmatico monistico? o cosa?

Il punto è che tutta la discussione sull'Europa minore si fissa sulle
identità e non suoi luoghi. Sono i luoghi oggi, materiali e simbolici,
gli spazi, più che i tempi e le identità, più che le soggettività e le
ermeneutiche dei movimenti, che sono cruciali per far diventare
desiderio ed eteronomia dei movimenti punti di coagulo di alterità che
transitano, attraversano e rideterminano la geo-filosofia europea (e nel
senso di unDeleuze e non in quella di un Cacciari) e la tradizione
politica occidentale.

Sin quando non se ne comincerà a fare un'analisi tendenziosa, collettiva
e topologica (nel senso, davvero, di una mappa che misuri l'infinitezza
del territorio e gli luoghi dove questi spazi si intersecano)
continueremo a discutere di carte costituzionali, di teorie dialettiche
e di ermeneutiche dei movimenti. Diventeremo vecchi, se non lo siamo già
, ci ricorderemo di quando eravamo comunisti, o di quando lo eravamo a
nostro modo, o di quando non lo eravamo per niente, rikombineremo la
nostra memoria, ne faremo una buona meticcia IDENTITÀ(con tutto quello
che c'èin giro...non è mica difficile...), e ricacceremo la SPAZIO della
politica fra i nostri incubi.....ma, come si sa, gli spettri non
lasciano mai soli....


Emilio
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